Chi può giudicare la pornografia?

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Chi può giudicare la pornografia?

 

“È stato sempre molto corretto. Metterei la mano sul fuoco che non ha commesso nulla di tutto ciò che gli viene imputato”. Questo è quello che ha dichiarato un cittadino svizzero alla notizia che un suo amico del Canton San Gallo (in passato anche dipendente ONU ed ex volontario di una ONG che lavorava contro la carestia in Madagascar) fosse stato arrestato nei giorni scorsi a Mombasa, in Kenia, con l’accusa di “pornografia pesante”: in pratica lo svizzero aveva coinvolto undici ragazze africane e perfino un pastore tedesco, per fare filmati porno.

A24/A3

Questo episodio di cronaca è interessante perché mette a fuoco due aspetti molto importanti che riguardano il mondo della pornografia: 1) il fatto che essa sia diffusa in modo così capillare, da aver conquistato anche un’utenza insospettabile; 2) il fatto che ormai esistono vari tipi di pornografie: da quella classica, che si basa su amplessi di tutti i tipi fra due o più persone a quella “pesante” in cui c’è una escalation di spunti trasgressivi, che includono comportamenti sempre più violenti ed anche l’introduzione di scene di zoofilia. Ma chi può decidere dove finisce l’una e dove comincia l’altra?

La pornografia ultimamente è divenuta un argomento di studio nelle università (sta anche nascendo una rivista scientifica sul porno, Porn Studies), e questa necessità di studiare il fenomeno deriva dal fatto che essa desta sempre più preoccupazioni a livello sociale, non solo perché è spesso giudicata inammissibile dal punto di vista etico (soprattutto la pornografia “pesante“: possibile, ci si chiede, vedendo certe scene, che un’attrice porno possa accettare volontariamente e consapevolmente di essere penetrata da più persone mentre le viene tenuta la testa in un water?) ma anche perché c’è il sospetto che i fruitori di questo genere di pornografia potrebbero diventare dei potenziali stupratori, i quali prima o poi potrebbero colpire.

Per la verità, non tutti la pensano così, anche nel mondo scientifico. Ronald Weitzer nella rivista Violence Against Women scrive, ad esempio: “Una rassegna completa della letteratura ha concluso che la ricerca non ha dimostrato alcuna relazione tra le immagini dei media – di qualsiasi tipo – ed il comportamento del pubblico“, aggiungendo che “nella migliore delle ipotesi, gli effetti dei media sono deboli e riguardano solo una piccola percentuale di spettatori“. Sta di fatto che, seppure si trattasse di una percentuale minima di spettatori che vengono influenzati negativamente da queste immagini, per morire basta incontrare solo uno di questi… Cosa accaduta, ad esempio, alla sfortunata Marie, una giovane ragazza svizzera che, uscendo da una festa, si era rivolta all’associazione di volontariato Nez Rouge, la quale offre un servizio auto gratuito alle ragazze che escono dai locali nelle ore notturne. Marie è stata violentata ed uccisa dal suo autista, un uomo che aveva già avuto problemi con la giustizia come consumatore di pornografia pesante, ma era stato prosciolto dalle accuse.

“Possibile che in un sol colpo gli uomini siano impazziti e che il cervello sia partito?: domanda legittima, che qualche tempo fa si era posto anche il sito ultracattolico Pontifex (l’articolo di Bruno Volpe direttore del sito, non è più online), il quale si era dato questa risposta: “Le donne sempre più spesso provocano, cadono nell’arroganza, si credono autosufficienti… Se in media ogni tre giorni in Italia viene uccisa una donna, quindi la colpa è anche sua perché non tiene pulita la casa, indossa “vestiti provocanti”, porta in tavola “piatti freddi”. E se, concludeva Volpe, questa società è “malata di pornografia ed esibizionismo” è sostanzialmente colpa delle donne, perché esse “diventano libertine e gli uomini, già esauriti, talvolta esagerano”.

Dunque, tutta colpa delle donne? In realtà non è così e vi sono altre voci che invece mettono chiaramente in relazione le violenze sulle donne (fino al femminicidio) con il consumo di pornografia: uno studio del 2002, basato su un campione di più di 2.000 studenti di college scoprì che le frequenti punizioni corporali subite nella famiglia di origine, combinate con il consumo di materiale pornografico aumentava la probabilità che i maschi si impegnassero in pratiche sessuali coercitive. Un altro studio più recente, del 2010, che analizzava il contenuto dei più popolari video pornografici ha mostrato chiaramente come, nelle 304 scene analizzate, l’88.2% riguardasse aggressioni fisiche (principalmente sculacciate, vomiti e schiaffi), mentre il 48,7% delle scene conteneva aggressioni verbali, soprattutto insulti. Gli autori delle aggressioni erano solitamente uomini e gli oggetti dell’aggressione erano prevalentemente donne, le quali, di fronte a queste aggressioni, rispondevano con atteggiamenti neutrali o addirittura compiaciuti.

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Questa mancanza di reazioni nei confronti delle provocazioni pornografiche è quanto si vede ormai anche nelle pubblicità (specialmente di profumi e abbigliamento), le quali sempre più spesso presentano immagini e filmati che somigliano incredibilmente ai porno, rendendo le persone sempre più confuse fra ciò che sarebbe da considerare “normale” e ciò che invece è “trasgressione”.

Anche il Parlamento europeo ha recentemente preso posizione, con una mozione, contro lo sfruttamento del corpo della donna nella pubblicità ed anche contro ogni forma di pornografia in genere: “l’immagine della donna non deve essere sfruttata solo per il suo richiamo all’eros; la cultura della nostra società è troppo incline alla pornografia”. “I giovani – si legge ancora nella mozione – sono sempre più colpiti dalla nuova condizione culturale della pornografia; la pornografia sta scivolando nella nostra vita quotidiana, sempre più accettata, addirittura idealizzata; si manifesta in particolare, nella televisione per giovani, nello stile di vita, nei video musicali, negli spot pubblicitari mirati ai ragazzi”.

Il fatto che i film pornografici siano sempre più violenti è dovuto proprio a questa crescente diffusione e conseguente assuefazione a certe immagini e a certi contenuti che si determina negli spettatori: un film giallo, un thriller non sarebbero tali se non causassero emozioni forti, suspense ed eccitazione. Allo stesso modo, un film pornografico non sarebbe tale se non riuscisse ad eccitare lo spettatore, causandogli reazioni nei genitali. E’ ovvio che, per eccitare una persona che passa diverse ore al giorno a guardare porno, non sono più sufficienti banali scene di sesso ed occorre ricorrere a scene sempre più coinvolgenti, sorprendenti ed eccitanti: cosa meglio della violenza?

E a pensare che sia arrivato il momento di prendere provvedimenti contro la pornografia pesante è anche il presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, il quale per il momento si è limitato ad intervenire nell’ambito dell’esercito americano: secondo uno studio condotto al Pentagono infatti il numero delle aggressioni sessuali nelle forze armate è aumentato notevolmente e gli assalti a sfondo sessuale avvenuti lo scorso anno sono stati circa 26 mila. Per questo Barack Obama ha deciso di dire basta: “Il principio è semplice. Non posso tollerare una cosa del genere”. Il materiale pornografico è stato dunque vietato negli edifici dell’esercito, nei quali verranno fatte regolari ispezioni.

E’ possibile che in futuro l’intervento da parte dello Stato contro la pornografia possa riguardare anche la popolazione civile. Per il momento l’unica nazione ad aver proposto una legge del genere è l’Islanda, che ha deciso di creare misure giuridiche radicali per combattere gli effetti nefasti della pornografia sui più giovani. Ma chi ha titolo di decidere cosa è pornografico e cosa non lo è?

Giuliana Proietti pagina Facebook

In Cina, dove la pornografia è vietata, vi sono dei funzionari che hanno il compito di esaminare il materiale hard sequestrato dalla polizia allo scopo di verificare se esso viola le norme sulla pornografia. Questi funzionari statali devono vedere tutti i film porno, dall’inizio alla fine (700 filmati alla settimana), per verificare se i proprietari e i venditori debbano essere perseguiti. Ma i loro giudizi possono davvero essere sereni e, soprattutto, veramente utili alla comunità?

Il problema è che non è facile stabilire regole e confini su una materia come la sessualità, dal momento che diverse sono le sensibilità e le reazioni, visto che dipendono dall’età, dal genere e dall’orientamento sessuale, dalle culture, dalle religioni e da tante altre concause.

Ad esempio: pensereste mai di considerare il diario di Anna Frank un libro pornografico? Credo di no, anche se probabilmente lo avrete letto, come me, nella versione ridotta, data alle stampe dal padre dell’adolescente ebrea nel 1947. Al diario all’epoca furono tolte il 30% delle pagine, che riguardavano riflessioni e osservazioni della ragazza sul suo sviluppo sessuale (aveva 13 anni).

Accade dunque oggi in America, precisamente nel Michigan (ma è già accaduto in molti altri Stati) che vi sia una campagna per bandire questo libro, nella sua edizione moderna, dalle scuole: il fatto che Anna Frank, nascosta con la sua famiglia dietro una finta libreria, isolata, clandestina, che temeva ogni giorno per la sua vita, abbia potuto osservare i suoi organi genitali e descriverli nel suo diario personale, per alcune persone è pura pornografia.

Ecco il passaggio incriminato del libro della Frank, che parla degli organi genitali:

“Ci sono piccole pieghe della pelle in tutto il luogo, si trova con difficoltà. Il piccolo buco sotto è così terribilmente piccolo che semplicemente non posso immaginare come un uomo possa entrare lì dentro, per non parlare di come un bambino possa uscirne!’

Come si fa a dire che questa è pornografia? Questo passaggio potrebbe veramente turbare i minori?

Come si vede dunque, qualsiasi serio intervento in materia appare impossibile se non ci si mette d’accordo anzitutto su un significato condiviso della parola “pornografia”.

Dr. Giuliana Proietti

“Non si progredisce migliorando ciò che è già stato,
bensì cercando di realizzare ciò che ancora non esiste”.
(Khalil Gibran)
Clinica della Coppia Online Therapy

Immagine:
Jeff Burton, Flickr

Pubblicato anche su Huffington Post


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