Coming out e omofobia: il bullismo familiare
«Sei solo un gay, non farai mai nulla nella vita»: questa, come riporta La Stampa, è la frase omofoba che i genitori ripetevano ogni giorno al loro figlio di 25 anni, dopo che questi aveva trovato il coraggio di fare coming out, cioè di rivelare la propria omosessualità. E così il ragazzo ha pensato bene di recarsi presso il Comando dei Carabinieri, per sporgere denuncia contro i genitori, che ora dovranno rispondere del reato di ingiurie.
Il genitori del ragazzo non sono degli sprovveduti, degli ignoranti: sembra infatti che siano due professionisti, di status sociale medio-alto. Ciò nonostante essi hanno evidentemente esasperato il figlio, tanto da spingerlo a cercare protezione nello Stato, piuttosto che nelle due persone che più di qualsiasi altro avrebbero dovuto offrirgli sostegno, comprensione e protezione.
Come si vede, in un periodo storico in cui si sta cercando, come forse mai negli ultimi duemila anni, di accettare a livello sociale l’omosessualità e la parità di diritti fra persone di diverso orientamento sessuale, fino al permesso di contrarre un vero e proprio matrimonio, può succedere che nella famiglia in cui si vive non si riscontri la stessa apertura mentale e si ricevano offese e umiliazioni, al pari di quelle che potrebbero esprimere un gruppo di bulletti semianalfabeti di periferia.
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Non conosciamo, ovviamente, la situazione specifica di questa famiglia e quindi dobbiamo ammettere che le cose, al di là dei titoli scandalistici che possono offrire i giornali, potrebbero essere andate in modo assai diverso; sicuramente però questo fatto di cronaca ci apre gli occhi sulla difficoltà oggettiva di comunicare il proprio orientamento sessuale ai genitori (anche una volta superate le incertezze dell’adolescenza), ma anche sulla ben poco considerata difficoltà dei genitori nel ricevere questo genere di comunicazione.
In genere, dopo il coming out del figlio o della figlia, per i genitori inizia la fase della negazione, dell’incredulità (ci deve essere un errore, qualcuno sta influenzando negativamente nostro figlio, nostro figlio non sa più quello che dice, ecc.), cui segue quella della disperazione, delle auto-accuse (che errori abbiamo commesso? In cosa abbiamo sbagliato? Siamo stati dei genitori incapaci, anaffettivi, irresponsabili, distratti?)
Questi sensi di colpa in realtà non nascono dal nulla: possono essere presenti già da molti anni, specie quando i genitori, per motivi di lavoro, sono stati costretti a trascurare i figli, affidandoli ai nonni o ad altre figure, per potersi dedicare completamente alla carriera. Il senso di colpa dei genitori viene, durante il periodo dell’infanzia e dell’adolescenza dei figli, attenuato dalla consapevolezza che essi stanno impegnando il proprio tempo e le proprie energie per poter consentire anche ai propri figli una vita più agiata, non solo per il presente, ma anche per il futuro.
Un genitore di questo tipo, ascoltando un inaspettato coming out, potrebbe dunque sentirsi realmente perduto, nell’accorgersi che il futuro che aveva progettato e per il quale si era tanto impegnato, non si verificherà: il figlio o la figlia non saranno mai pienamente accettati socialmente (o almeno questo i genitori temono) e quasi sicuramente non avrà a sua volta dei figli (condannando quindi gli anziani genitori all’idea che i loro geni, il loro lavoro e la loro storia familiare non sopravviveranno alla loro morte).
E’ comprensibile dunque che dei genitori che hanno impostato così la propria esistenza, nel venire a conoscenza dell’omosessualità del figlio (o della figlia) si sentano improvvisamente cedere la terra sotto i piedi, non comprendendo più non solo le scelte che vengono loro prospettate, ma anche il senso stesso della propria vita, né gli sforzi compiuti per raggiungere degli obiettivi sociali e materiali, che ormai non hanno più valore e significato.
Tutto questo può sconvolgere molto l’esistenza di una persona di mezza età. Vale allora la pena riflettere sul fatto che, in queste situazioni familiari, lo stato di debolezza non va attribuito solo al figlio omosessuale, che con difficoltà riesce a trovare il coraggio per affermare la propria diversità, ma occorre pensare che questa rivelazione potrebbe essere altrettanto sconvolgente anche per i genitori, sebbene spesso essi siano responsabili della mancanza di comunicazione in famiglia, specie sui temi della sessualità.
Per parlare di sessualità con i figli serve solo tempo e disponibilità al confronto: non c’è bisogno di sedersi un giorno nel salotto di casa per fare “il grande discorso”… Ogni giorno genitori e figli dovrebbero parlare di sessualità, prendendo spunto dalla vita quotidiana e da ciò che succede nel mondo. In questo modo, un ragazzo potrebbe non arrivare a 25 anni, prima di trovare il coraggio di rivelare la propria omosessualità ai genitori.
Nella maggior parte dei casi, dopo il coming out e il conseguente periodo di negazione e di disorientamento, i genitori finiscono tuttavia per comprendere e accettare la situazione del figlio gay, ritornando ad essere quel porto sicuro nel quale trovare affetto e comprensione. Ma questo, purtroppo, non accade sempre, come nel caso di Padova.
Le offese, gli attacchi, gli insulti verso il figlio omosessuale (o la figlia lesbica) sono sicuramente un atto di debolezza: il tentativo di mascherare una sensazione di personale fallimento, come persone e come genitori.
E allora i genitori dovrebbero essere aiutati e sostenuti, in questo difficile passaggio, forse ancor più dei loro stessi figli, che ormai hanno compiuto una scelta consapevole e che dunque, solo per questo, sentono finalmente un grande senso di liberazione e di leggerezza.
Dr. Giuliana Proietti
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