Perché oggi è più difficile restare in coppia
Nelle società umane, così come nella coppia, la gestione del potere è stata (ed ancora in gran parte è…) predominio del maschio. La condizione di totale dipendenza del sesso femminile da quello maschile ha cominciato a diminuire drasticamente solo a partire dalla metà del secolo scorso, per una serie di ragioni: il lavoro femminile fuori dalle mura domestiche, l’accesso femminile all’istruzione, il controllo delle nascite, le lotte femministe.
Oggi anche all’interno della coppia il rapporto è divenuto maggiormente paritario rispetto al passato ed i ruoli dell’uomo e della donna non sono più rigidamente definiti: gli uomini possono occuparsi della casa e dei bambini, le donne possono essere le uniche a “portare a casa il pane”, cosa che alle nostre nonne e bisnonne sarebbe sicuramente sembrato incredibile.
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Il sentimento dell’amore, per effetto delle stesse trasformazioni sociali, è divenuto centrale nella vita di coppia ed infatti i due partners si scelgono liberamente, senza tenere in considerazione il giudizio dei propri riferimenti sociali, culturali o familiari.
Non è stato sempre così: per molti secoli l’amore è stato nulla più che un concetto letterario affidato ai poeti. Solo i nobili, per la maggiore libertà personale di cui godevano, potevano in realtà permettersi di provare l’amore romantico, anche se erano spesso costretti a spoare persone che non amavano, per questioni di interesse e di lignaggio (nelle famiglie più aristocratiche, per evitare il frazionamento dell’eredità fra i vari figli, si poteva sposare solo per il primogenito, che diveniva capo del casato. I fratelli minori venivano indirizzati verso la carriera ecclesiastica, oppure dovevano accettare unioni di coppia non legittimate, avendo figli illegittimi. Le figlie femmine venivano invece tutte sposate, per favorire una più estesa rete di alleanze).
Gli uomini di status più elevato avevano dunque maggiori possibilità di sposarsi con una donna scelta fra le più desiderabili, rispetto a coloro che si posizionavano più in basso nella scala sociale. Gli uomini più ricchi e potenti potevano addirittura permettersi, oltre alla moglie, anche numerose amanti (e dunque un maggior numero di figli, che venivano cresciuti insieme agli altri, anche se considerati illegittimi).
Con la cristianità, dal medioevo in poi, la poligamia e il concubinaggio sono stati combattuti sempre più duramente, attraverso la costante negazione dei diritti alle concubine e ai loro figli, nati fuori del matrimonio.
Nel matrimonio cristiano l’amore dato e richiesto al coniuge si poteva spiegare con le parole solidarietà, attenzione, cura e non certo attrazione, passione, desiderio, come può avvenire oggi: si amava il coniuge così come si amavano la casa, i beni i figli. Il piacere sessuale fra coniugi era considerato un mezzo per avere la prole e non un fine.
La prima spallata a questo tipo di matrimonio, che poteva terminare solo a causa della morte di uno dei due congiunti, è stata data in alcuni Paesi protestanti del Nord Europa con l’introduzione del divorzio, all’inizio per colpa di uno dei due coniugi (come in Scozia) e poi anche su semplice richiesta unilaterale.
Con l’introduzione e la diffusione del divorzio si è oggi passati da un regime rigidamente monogamico a una «monogamia seriale», in cui si fa coppia fissa con un partner fino a che ci si sente legati a questa persona dal sentimento dell’amore, dopo di che ci lascia, per vivere da single o per creare una nuova coppia (o una nuova famiglia).
Dalla relazione di coppia ci si attende moltissimo: in primis la soddisfazione dei bisogni affettivi e sessuali, ma anche comportamenti di solidarietà, di compagnia, di co-genitorialità, di co-responsabilità, dal punto di vista economico e della gestione familiare. Difficile mantenere questi standard di soddisfazione reciproca, soprattutto per quanto riguarda la sessualità… Oggi, dato l’allungamento della vita media, due ragazzi che si innamorano a 20 anni hanno davanti a sé almeno 60 anni di vita di coppia… Quando mai le coppie sono durate tanto?
Dr. Walter La Gatta

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