• 2 Giugno 2024 7:57

Clinica della Coppia

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Legalizzare la Prostituzione: Fatti e Fiction

Legalizzare la Prostituzione: Fatti e Fiction

Terapie Online Giuliana Proietti

Ronald Weitzer è un sociologo, docente presso l’Università di Washington, che ha scritto moltissimo sull’industria del sesso, mettendo a fuoco in particolare le politiche americane nei confronti delle leggi sulla prostituzione e sul traffico di esseri umani, per fini sessuali.

Weitzer vuole legalizzare la prostituzione, perché sostiene che a pensare veramente di escludere la prostituzione dalla vita sociale siano soprattutto delle minoranze, de

i movimenti che hanno una finalità ideologica, come le femministe radicali o le istituzioni religiose, e non la maggior parte della popolazione. Basta guardare, dice, quello che succede negli Stati dove la prostituzione è legale.

Ne parliamo perché è uscito un suo nuovo libro sull’argomento, non ancora pubblicato in italiano che, come si suol dire, è tutto un programma: Legalizing Prostitution.

Troppo spesso, dice Weitzer, il dibattito sulla legalizzazione della prostituzione si blocca in quella che Popper ha definito la fase pre-scientifica. Gli argomenti sono formulati in base alle impressioni personali, le ipotesi non sono state testate.

Non è così in ambito accademico, dove un numero crescente di studiosi considera la prostituzione, la pornografia, e gli spogliarelli come “lavoro sessuale”, e studia questo settore come una qualsiasi altra professione, prendendo in considerazione tutte le dimensioni di questo lavoro, nei vari contesti.

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Tra le persone comuni invece, dato che solo una minoranza della popolazione conosce realmente questo mondo, il dibattito si colora sempre di impressioni e sensazioni raccolte dai media, dalla letteratura, dai film, dagli spettacoli teatrali e dalle occasionali osservazioni di prostitute che lavorano in strada.

Weitzer divide in due campi contrapposti le varie idee espresse, in merito alla prostituzione: da una parte ci sono i seguaci del paradigma della legalizzazione e dell’empowerment, dall’altra le ragioni di coloro che si rifanno al paradigma della oppressione e che vedono nella prostituzione il male assoluto.

Il paradigma pro-legalizzazione si basa sul concetto di empowerment, che viene utilizzato per qualsiasi tipo di lavoro. Anche nel lavoro del sesso, molti pensano che si possano dare agli addetti degli strumenti adeguati per perfezionare le loro prestazioni, e dunque anche sé stessi.  Il guadagno sarebbe sia del cliente sia del lavoratore stesso. Molte intellettuali che si ispirano a questo paradigma arrivano a vedere nella escort la “vera donna liberata, la cui sessualità non appartiene a nessuno”.

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Il paradigma della oppressione vede invece nel lavoro sessuale solo gli aspetti negativi: sfruttamento, abusi, e miseria. Si pensa che le prostitute siano state fisicamente abusate da bambine e questo aiuta a trovare spiegazioni sul perché abbiano fatto quella particolare scelta. Si pensa poi alle ragazze che si prostituiscono per comprarsi la droga, a quelle che sono schiave della criminalità ecc., per cui la legalizzazione, secondo questa opinione, non farebbe che aggravare la situazione. Questo modello dunque sostiene che la prostituzione non debba essere migliorata, ma completamente eliminata.

Si tratta di una formulazione data anzitutto dal femminismo radicale. Secondo questo paradigma infatti, il lavoro sessuale è l’espressione massima delle relazioni di genere patriarcali e del dominio maschile sulle donne. Non solo l’industria del sesso oggettiva e mercifica il corpo delle donne, ma dà anche l’idea che gli uomini abbiano ‘diritto’ a comprare intrattenimento erotico delle donne, rafforzando così la subordinazione delle donne nei confronti degli uomini. I sostenitori di questo paradigma sostengono che lo sfruttamento, la sottomissione e la violenza siano intrinseci e inestirpabili dal lavoro sessuale. La soluzione dunque, secondo questo modello, sta solo nella eliminazione totale della prostituzione, della pornografia, degli strip club e di tutto quello che ruota intorno al sesso commerciale.

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L’autore, che non è d’accordo con le femministe, osserva che questo paradigma si concentra esclusivamente sugli aspetti negativi, i quali indubbiamente ci sono, in particolare per quanto riguarda le prostitute di strada. E’ vero: molte sono fuggite di casa, molte lo fanno per estrema necessità, o sono tossicodipendenti, molte sono sfruttate o maltrattate dai loro protettori. Esse vengono spesso  aggredite, derubate, violentate, uccise durante il loro lavoro e sono escluse dalla vita sociale.

Vi sono però altre prostitute, ricorda Weitzer, che lavorano in modo completamente diverso da questo: esse sono indipendenti, senza protettori (uno studio di Miami, ricorda, ha rilevato che solo il 7 per cento di loro aveva protettori) ed hanno iniziato l’attività quando erano pienamente consapevoli su ciò che stavano facendo. Cita anche un recente studio britannico di Marianne Hester e Nicole Westmarland, il quale ha rilevato che il 20 per cento del campione di prostitute intervistate ha cominciato prostituirsi prima dei 16 anni, mentre quasi la metà (48 per cento) aveva cominciato dopo i 19 anni.

Le storie di abuso infantile o di sfruttamento, continua ancora Weitzer, riguardano in genere le prostitute di strada e quando negli studi si mettono a confronto i dati fra questi due modelli di prostitute, si vede una differenza
notevole, statisticamente significativa, fra il tasso di infezione da HIV delle prostitute di strada e delle altre.

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Uno studio di Stephanie Church e colleghi, ad esempio, ha scoperto che il 27 per cento di un campione di prostitute di strada aveva subito aggressioni, il 37
aveva subito rapine e il 22 per cento aveva subito violenza sessuale. I criminologi
John Lowman e Laura Fraser riportano risultati simili: il 39 per cento delle prostitute di strada aveva subito aggressioni, il 37 per cento rapine, e il 37 per cento violenze sessuali.

Effettivamente dunque, ammette l’autore, la vita delle prostitute di strada è molto simile a quella che viene indicata dalle femministe (le quali però trascurano gli altri generi di prostituzione e tengono poco in conto che nel mestiere, oltre alle donne, ci sono anche gli uomini e i transgender).

La prostituzione al chiuso è stata molto meno studiata di quella di strada, ma gli studi disponibili indicano che le prostitute che lavorano in appartamento hanno tassi meno elevati di abusi infantili, entrano nella prostituzione in età più avanzata, e hanno più istruzione. Sono inoltre meno tossicodipendenti delle altre e più propense ad usare droghe leggere (marijuana, invece di crack o eroina). Inoltre, usano queste droghe per ragioni diverse: mentre le prostitute di strada consumano droghe o alcol per aiutarsi a far fronte alle avversità del lavoro, le lavoratrici del sesso che lavorano al chiuso prendono queste droghe per meglio socializzare con i clienti. Nei luoghi chiusi è inoltre obbligatorio che i clienti usino il condom, le tariffe sono più elevate, c’è minore rischio di essere arrestati e si è più sicuri nei luoghi di lavoro. (In uno studio, la Church ha scoperto che fra le ragazze che lavorano in una sauna, solo una su cento era stata picchiata, due su cento violentate e 10 su cento derubate).

Le persone che scelgono consapevolmente di fare questo mestiere non si sentono sé sfruttate, né oppresse, ed anzi trovano spesso gratificante il loro lavoro. Uno studio condotto dalla psicologa Sarah Romans e colleghi ad esempio ha messo a confronto i due generi di prostitute con un gruppo di non prostitute scoprendo come tra le non prostitute e le prostitute per scelta vi siano molte affinità: riguardo alla salute fisica, all’autostima, alla salute mentale, o alla qualità delle loro reti sociali.


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Molti studi segnalano di fatti in molte ragazze un aumento dell’autostima dopo aver iniziato a lavorare nel mondo della prostituzione: esse affermano che sono molto soddisfatte del proprio lavoro e che la loro vita è migliorata. Alcune escort intervistate dalla sociologa Tanice Foltz si sentivano orgogliose del loro lavoro e si sentivano moralmente superiori alle altre donne, perché esse sono sottomesse al potere e al controllo del marito, mentre loro utilizzano il sesso a proprio vantaggio e per il bene della società.

Anche la qualità dei clienti è diversa: dallo studio di annunci su diversi siti web si è visto che molti clienti cercano in queste ragazze amicizie, dialogo, tempo a disposizione, coccole, preliminari. Tutto questo è stato definito “Girlfriend Experience” (GFE), cioè un’esperienza sessuale che ha elementi di romanticismo e di intimità, oltre al sesso.

Spiegando quanto sopra l’autore tiene a precisare che è sbagliato considerare il fenomeno prostituzione sotto la lente dell’ideologia della oppressione e dello sfruttamento: i servizi sessuali comportano modalità e condizioni molto diverse fra loro e tutto questo costituisce una complessità che contraddice i miti e le generalizzazioni popolari.

Dunque, per l’autore è giunto il momento di sostituire il modello dell’oppressione con un modello polimorfo, cioè una prospettiva che riconosce più realtà strutturali ed esperienziali. Il modello polimorfo, suggerito da Weitzer, dovrebbe superare le concezioni parziali sul fenomeno, e tutte le ideologie non scientifiche.  Il suo modello deriva da una serie di ricerche sull’argomento condotte con obiettività scientifica, e si basa dunque su dei dati che individuano una vera costellazione di esperienze diverse nel mondo della prostituzione.

La maggior parte dei Paesi che hanno portato un certo grado di regolamentazione nella industria del sesso, che Weitzer esamina nel libro, hanno registrato, a suo avviso, un miglioramento nel campo dell’igiene e della sicurezza.




I bordelli sono legali in un certo numero di Stati, tra cui Nevada, Paesi Bassi, Australia e Nuova Zelanda. Le norme variano da paese a Paese, ma c’è l’obiettivo comune della riduzione del danno.

La ricerca suggerisce che, nelle giuste condizioni, la prostituzione legale possa essere organizzata in modo da aumentare la salute dei lavoratori, la sicurezza e la soddisfazione sul lavoro. L’uso del preservativo è inoltre obbligatorio nei bordelli legali, e i lavoratori affrontano un rischio di abusi sessuali molto inferiore.

Secondo un rapporto del 2004 emanato dal Ministero della giustizia dei Paesi Bassi, la “grande maggioranza “dei lavoratori nei bordelli olandesi riferisce che “spesso o sempre si sente al sicuro.” Nel Nevada i bordelli legali “offrono l’ambiente più sicuro disponibile perché le donne possano offrire atti sessuali consensuali a scopo di lucro”, dicono le sociologhe Barbara Brents e Kathryn Hausbeck in uno studio.

E  inoltre importante la valutazione dei bordelli legali di di Queensland, Australia, da parte della Crime and Misconduct Commission, una commissione governativa che ha concluso che “non c’è dubbio che i bordelli autorizzati forniscano l’ambiente più sicuro per i lavoratori del sesso di Queensland. … Essi rispettano le leggi, non sono in mano alla criminalità e rispettano tutte le misure di sicurezza (sorveglianza, pulsanti anti- panico, dispositivi di ascolto) permettendo ai manager di tenere a bada i clienti indisciplinati in modo rapido e efficace”.

Questi studi suggeriscono dunque, secondo l’autore, che la prostituzione legale pur non essendo una panacea, non sia di per sé pericolosa e possa essere strutturata in modo da minimizzare i rischi dei lavoratori.

Negli Stati Uniti la prostituzione è legale solo in Nevada, dove esistono circa 30 bordelli nelle contee rurali, ma è vietata a Las Vegas e a Reno. Secondo un sondaggio del 2002, il 31 per cento degli abitanti del Nevada si oppone ai bordelli legali, mentre il 52 per cento è a favore. Nel 2004 un referendum lanciato per vietare la prostituzione legale nel Nevada è stato sconfitto, con il 63 per cento degli abitanti che ha votato per mantenere la prostituzione legale nella Contea di Churchill. Peraltro, va detto che queste case di prostituzione pagano alla contea delle sostanziose tasse…


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Secondo un sondaggio del 2000, il 17 per cento degli uomini americani ha pagato una prostituta per fare sesso almeno una volta nella vita, e il 3 per cento l’ha fatto l’anno scorso. Recenti indagini indicano che il 9 per cento degli uomini britannici e il 16 per cento degli uomini australiani paga per avere sesso.

Weitzer suggerisce dunque nel libro un programma esaustivo di norme per legalizzare la prostituzione. Il suo punto di partenza è che la prostituzione adulta consensuale deve essere ufficialmente riconosciuta come professione e che agli addetti ai lavori debbano essere concessi tutti i diritti e le protezioni disponibili, come si fa per altre occupazioni.

Per difendere i valori della famiglia e dei rapporti monogamici, dice ancora Weitzer, stiamo lasciando il settore della prostituzione in mano alla criminalità e a persone senza scrupoli, che operano a livello internazionale, dietro le quinte.

Dr. Giuliana Proietti


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Fonti:
Review – Legalizing Prostitution, Metapsychology
Weitzer R., Prostitution: facts and fictions in Contexts, Vol. 6, Number 4, pp 28-33. ISSN 1536-5042, electronic ISSN 1537-6052, pdf

Immagine:
Copertina del libro e


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La Dr.ssa Giuliana Proietti presta la sua attività professionale su Clinica della Coppia
come Direttrice Scientifica e Terapeuta Senior

Di Dr. Giuliana Proietti

Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona ● Attività libero professionale, prevalentemente online ● Saggista e Blogger ● Collaborazioni professionali ed elaborazione di test per quotidiani e periodici a diffusione nazionale ● Conduzione seminari di sviluppo personale ● Attività di formazione ed alta formazione presso Enti privati e pubblici ● Co-fondatrice dei Siti www.psicolinea.it, www.clinicadellacoppia.it, www.clinicadellatimidezza.it e delle attività loro collegate, sul trattamento dell’ansia, della timidezza e delle fobie sociali e del loro legame con la sessualità. Sito personale: www.giulianaproietti.it La Dr.ssa Giuliana Proietti presta la sua attività professionale su Clinica della Coppia come Direttrice Scientifica e Terapeuta Senior.

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